Steatosi epatica associata a disfunzione metabolica MAFLD (prima denominata NAFLD/NASH)

Si parla di steatosi epatica quando il corpo accumula troppo grasso nelle cellule del fegato. La patologia si può definire steatosi epatica quando ciò interessa più del 5% delle cellule epatiche. Numerosi fattori possono contribuire allo sviluppo di tale malattia, tra cui diabete e obesità, ma anche alcuni farmaci, fattori ormonali come una disfunzione tiroidea o alcuni componenti della dieta come acidi grassi saturi e alcol. In alcuni pazienti si tratta di una combinazione di diversi fattori. Una precisa determinazione delle cause è quindi il primo passo e una componente importante ai fini della diagnosi. Un esame fisico è altrettanto importante quanto la registrazione accurata delle abitudini di vita e alimentazione e delle bevande consumate.

Si tratta di una condizione che compare generalmente tra i 40 e 60 anni di età, nelle donne compare generalmente nella menopausa, ma l’incidenza anche tra bambini e giovani sta aumentando, in particolare nei paesi industrializzati come gli USA, dove un recente studio ha evidenziato la presenza di steatosi epatica in più di un adolescente su cinque. La causa è generalmente uno stile di vita inattivo con mancanza di esercizio fisico, una dieta poco sana e obesità. Quest’ultima rappresenta il maggiore fattore di rischio, ma la malattia può colpire anche individui dal peso normale. Inoltre ne soffrono quasi tre quarti delle persone affette da diabete mellito. In alcuni casi si rileva anche l’influenza di altri fattori, come una malattia epatica virale, disturbi ormonali o l’assunzione di farmaci.

La MAFLD è diventata ormai uno dei più comuni problemi del fegato dei paesi maggiormente sviluppati. Stime attendibili indicano la prevalenza della steatosi in Italia tra il 20 e il 25% della popolazione (11-14 milioni). Chiaramente come la definizione stessa afferma, interessa quei soggetti che sono astemi oppure assumono modeste quantità di bevande alcoliche (meno di 20 gr/die per le donne e 30 gr/die per gli uomini, che equivalgono circa a: 1 boccale di birra, 1 bicchiere e ½ di vino, 1 bicchierino di superalcolici).

Inoltre devono essere esclusi altri fattori di danno epatico quali le infezioni virali, le patologie autoimmuni, etc.

Se malattie metaboliche quali obesità, diabete o ipertensione si manifestano insieme alla steatosi, si parla di steatosi epatica associata a disfunzione metabolica (MAFLD, in inglese: metabolic-dysfunction associated fatty liver disease).

In passato, la malattia era solitamente indicata come steatosi epatica non alcolica (NAFLD, in inglese: non-alcoholic fatty liver disease). Questa diagnosi veniva effettuata in presenza di steatosi epatica dopo aver escluso cause dovute a eccessivo consumo di alcol. In presenza anche di infiammazione del fegato, si parlava di steatoepatite non alcolica (NASH, in inglese: non-alcoholic steatohepatitis).

Negli ultimi decenni, tuttavia, si è stabilito che esistono stretti legami tra la steatosi e altre malattie metaboliche. Attualmente si presume che la steatosi associata a disfunzione metabolica sia la manifestazione epatica della sindrome metabolica (presenza di diverse malattie metaboliche). Il consumo di alcol, insieme alla steatosi associata a disfunzione metabolica, può potenziare gi effetti dannosi per il fegato. Tuttavia, tale steatosi può verificarsi anche senza alcun consumo di alcol.

Sintomi

La maggior parte dei pazienti con MAFLD è asintomatica, cioè non presenta nessun tipo di disturbo e quindi è difficile scoprire di avere questa patologia. Per questo molti pazienti non la scoprono fino a quando non si sottopongono ad ecografia dell’addome, spesso  dopo il riscontro di un’alterazione degli esami del sangue (enzimi epatici come transaminasi e gammagt) effettuati per altri motivi. Alcuni pazienti riferiscono un senso di malessere, stanchezza o una vaga sensazione di dolenzia a livello del quadrante addominale superiore destro. Anche se molti pazienti negano dolore o altri sintomi riferibili al fegato, nel 75% dei casi è presente una epatomegalia (fegato ingrossato). Più rara all’esordio invece, la splenomegalia (milza ingrossata), che è in genere presente come complicanza di una malattia epatica già avanzata (cirrosi epatica con ipertensione portale).

Mentre nella fase iniziale la malattia difficilmente provoca disturbi, fa tuttavia aumentare il rischio di gravi malattie cardiovascolari e di un infarto miocardico. La malattia comporta inoltre fenomeni infiammatori a carico del fegato, quali la steatoepatite (NASH), una patologia caratterizzata da gravi processi infiammatori che danneggiano le cellule epatiche e causano la formazione di cicatrici. La cicatrizzazione è nota come fibrosi epatica e può degenerare in cirrosi epatica (cicatrizzazione completa). In presenza di cirrosi epatica, aumenta il rischio di cancro delle cellule epatiche (carcinoma epatocellulare; HCC). Tuttavia, in presenza di steatosi epatica associata a disfunzione metabolica, il carcinoma epatocellulare può insorgere anche prima della cirrosi. La cirrosi epatica è una malattia grave che, oltre al cancro al fegato, ha molte altre complicazioni potenzialmente letali. Una volta accertata la malattia, è quindi necessario farsi seguire anche in fasi precoci da uno specialista in malattie epatiche al fine di evitare decorsi gravi.

La steatosi epatica associata a disfunzione metabolica è una patologia spesso silenziosa e di solito all’inizio causa pochi sintomi, a volte anche nessuno. È possibile avvertire una sensazione di pesantezza all’addome superiore destro, gonfiore, stanchezza e difficoltà di concentrazione. Questi sintomi si verificano più frequentemente in presenza di infiammazione del fegato (steatoepatite/NASH).

Anche la fibrosi epatica e la cirrosi epatica possono rimanere a lungo inosservate, poiché i sintomi sono spesso aspecifici. La malattia si manifesta di frequente con sensazione di affaticamento o prurito. La pigmentazione giallastra della cute e degli occhi (ittero), il rapido aumento della circonferenza addominale con raccolta di liquido nella cavità peritoneale (ascite), infezioni frequenti, grave stanchezza e confusione, nonché la tendenza al sanguinamento indicano un decorso grave e devono essere controllati immediatamente da un medico.

La patogenesi

All’origine dello sviluppo della steatosi e soprattutto della steatoepatite, che rappresenta una evoluzione negativa che si  verifica  nel 10% dei casi di steatosi epatica, caratterizzata da infiammazione e rischio di cirrosi (progressione da steatoepatite a cirrosi nel 10% dei casi), c’è l’insulino resistenza e un alterazione correlata allo stress ossidativo che risultano alla base del danno delle cellule epatiche. Tali condizioni sottendono spesso una sindrome metabolica. Per insulino resistenza si intende una condizione in cui quantità fisiologiche di insulina prodotte dal pancreas determinano una risposta biologica ridotta, cui consegue un aumento dei valori di insulina ed in sostanza è la condizione preliminare allo sviluppo del Diabete Mellito di tipo 2. Per stress ossidativo si intende una condizione in cui vi è un’alterazione dell’equilibrio dei sistemi di difesa antiossidanti, così da determinare la formazione di specie chimiche dannose come i radicali liberi. L’aumentato stress ossidativo sembra costituire uno dei principali fattori nella promozione del danno epatico nella NAFLD, svolgendo un ruolo fondamentale soprattutto sulla progressione dalla steatosi semplice alla NASH. Ciò avverrebbe, in particolare, come conseguenza di una aumentata perossidazione lipidica, infiammazione, e aumentata fibrogenesi conseguenteall’attivazione delle cellule stellate epatiche. Inoltre, i radicali liberi dell’ossigeno (ROS) sono anche in grado di inibire la secrezione epatica delle VLDL (proteine di trasporto dei trigliceridi dal fegato ai tessuti) favorendo così una ulteriore accumulo intraepatico di lipidi. Più recentemente, accanto alla tradizionale ipotesi dei “two hits”, è stata proposta una “multiple hits” ipotesi che accanto all’insulino-resistenza e allo stress ossidativo identifica come possibili fattori patogenetici nello sviluppo della NAFLD numerosealtre condizioni tra le quali l’infiammazione cronica di basso grado, alcune mutazionigenetiche ed epigenetiche e fattori di derivazione dal microbiota intestinale. Questi fattori possono essere variamente associati con la NAFLD in presenza o in assenza della sindrome metabolica. I criteri della sindrome metabolica quali l’insulino resistenza, l’iperglicemia (glucosio alto nel sangue), l’obesità, l’iperlipidemia (elevati valori di colesterolo e trigliceridi) e l’ipertensione arteriosa sono considerati fattori predisponenti allo sviluppo della steatosi oltre al consumo di alcol e all’infezione da HCV (in particolare il genotipo 3). La sindrome metabolica viene definita tale quando vi è la presenza di almeno tre dei criteri indicati prima  (Pressione arteriosa >130/80, trigliceridi>150, Glicemia > 100, obesità con circonferenza addominale > 102 cm nel maschio e > 88 cm nella donna, colesterolo HDL basso < 40 nell’uomo e <50 nella donna).

La steatosi epatica non alcolica è causata prevalentemente dalla sindrome metabolica, ma esistono altre cause, fondamentalmente suddivise nelle seguenti categorie:

  • deficit metabolici sia acquisiti che congeniti;
  • farmaci e sostanze tossiche;
  • comorbidità.

Nell’ambito della storia naturale è corretto affermare che il fegato grasso tende a presentare un decorso sostanzialmente benigno. Il danno tuttavia nel 10% dei casi può progredire in steatoepatite (quadro ancora reversibile), fino alla fibrosi epatica, con evoluzione nel 10% dei casi in cirrosi (irreversibile) e l’epatocarcinoma (tasso incidenza: da 0.4 -1.7 per 1,000 per anno).

Diagnosi 

Gli esami di riferimento per la diagnosi di fegato grasso o steatosi epatica sono:

  • Esami del sangue, per la ricerca delle transaminasi, gli enzimi indicati con le sigle GOT (o ALT) e GPT (o AST) e le gamma-glutamil transpeptidasi (gamma gt). Non sempre le transaminasi alte indicano la presenza di fegato grasso. Per questo il medico di famiglia o lo specialista in malattie del fegato, l’epatologo, possono richiedere che il paziente si sottoponga a:
  • Ecografia addominale. Il segno tipico di steatosi è il cosiddetto “fegato brillante”, così chiamato per l’anomala luminosità in corrispondenza dell’organo nelle immagini rilevate dall’ecografo.
Immagine ecografica di fegato brillante.

Spesso l’ecografia consente di diagnosticare la condizione soltanto quando è già avanzata cioè quando il contenuto in grasso dell’organo è maggiore del 30% del suo peso. In alcuni casi, anche per escludere la presenza di patologie in corso più gravi, il medico può ritenere di integrare l’ecografia con altri esami, quali: Tac (tomografia assiale computerizzata) o Risonanza Magnetica (RM), di solito eseguite con iniezione di mezzo di contrasto. 

Negli ultimi 10 anni una nuova tecnica ultrasonografica non invasiva si è affiancata e ha implementato l’ecografia: l’elastografia epatica. il primo apparato medicale costruito per eseguire l’elastografia epatica è il Fibroscan che appare simile ad un ecografo, poiché attraverso una sonda, appoggiata sulla parete toracica, tra gli spazi intercostali, invia al fegato delle onde elastiche. La velocità di propagazione di queste onde attraverso il tessuto epatico viene elaborata da un calcolatore, che fornisce in tempo reale una stima quantitativa  dell’elasticità/rigidità del fegato misurata in KiloPascal (KPa). L’esame è indolore, dura circa 10 minuti. Fornisce quindi una valutazione quantitativa della rigidità o durezza del fegato (Liver Stiffness) che è correlata al quantitativo di tessuto fibroso presente nell’organo, ovvero tanto più il fegato è duro quanto maggiore è la fibrosi dell’organo classificata in 4 stadi che vanno da F0 (assenza di fibrosi) a F4 (cirrosi epatica).  Il FibroScan® implementato con il sistema CAP (controlled attenuation parameter) valuta oltre alla fibrosi anche la steatosi del fegato con alta efficacia diagnostica. Il risultato consente al medico di valutare la presenza di steatosi e di classificarla in assente, lieve, moderata e severa  (S0-S3).

Fibroscan 

Se i risultati ottenuti attraverso l’ecografia e l’elastografia non sono chiari, può essere necessario il prelievo di una piccola porzione di tessuto (biopsia epatica), che verrà esaminata al microscopio per rilevare la quantità di grasso nelle cellule, il livello di infiammazione e cicatrizzazione. Ciò consente di eseguire una classificazione accurata dello stadio della malattia e di escludere altre patologie epatiche.

Prevenzione e trattamenti

La prevenzione è l’arma principale contro il fegato grasso e i rischi di un suo sviluppo. I rischi si riducono seguendo un’alimentazione povera di grassi, riducendo il consumo di alcolici, mangiando più frutta e verdura, pesce più volte alla settimana. Inoltre è necessario condurre uno stile di vita più sano, evitando la sedentarietà con un’attività fisica regolare e moderata.  In assenza di altre patologie e complicazioni, il trattamento del fegato grasso si attua modificando la propria alimentazione:

  • Ridurre i grassi, l’alcol e gli zuccheri
  • Ridurre il consumo di carne rossa e latticini
  • Fare più attività fisica, moderata e regolare
  • Perdere peso cercando di raggiungere il proprio peso ideale per età e comorbidità.
  • Consumare più frutta, verdura e cereali integrali

Trattamento farmacologico 

Attualmente non esiste un efficace trattamento farmacologico riconosciuto per combattere la steatosi epatica associata a disfunzione metabolica,  ma sono in corso vari studi sui farmaci utilizzabili. Ci vorranno però ancora alcuni anni prima che siano disponibili sul mercato mondiale ed europeo. Nei pazienti diabetici le terapie per la cura del diabete sono efficaci anche per la cura della steatosi. Al momento vengono sperimentate alcune terapie di grande successo e con scarsi effetti collaterali: le misure relative allo stile di vita. Riducendo il peso del 7-10% nel caso delle persone obese e del 3-5% nei malati di peso normale, la malattia può migliorare significativamente e, soprattutto nelle fasi iniziali, anche guarire completamente. La riduzione del peso andrebbe ottenuta attraverso una modifica della dieta abituale, rendendola più equilibrata, con una moderata riduzione della quantità di calorie consumate quotidianamente e una maggiore attività fisica. Anche piccoli cambiamenti, come la rinuncia al consumo di bevande zuccherate e succhi di frutta o l’abitudine di salire le scale invece di utilizzare l’ascensore, possono essere di grande aiuto. Prima di effettuare grandi rivolgimenti, tuttavia, si dovrebbero prendere in considerazione eventuali altre patologie, in particolare le malattie cardiache, l’ipertensione e il diabete. Conviene quindi discutere in anticipo i principali cambiamenti che si vogliono attuare con il medico di famiglia, il diabetologo, il cardiologo o l’epatologo. Se il paziente consuma alcol, può essere necessaria una riduzione dell’assunzione di bevande o, in uno stadio avanzato, l’astinenza completa.